Il 6 maggio 2022 c’è stato l’incontro della Consulta Dipartimentale per la Salute Mentale della ASL Roma 1. L’ordine del giorno prevedeva, oltre alla consueta lettura ed approvazione del verbale della seduta precedente, l’analisi della situazione dei Centri Diurni del DSM secondo la richiesta regionale di definizione dei posti letto, la risposta alla ASL Roma 1 al fabbisogno di personale e la necessità di reperire risorse dal PNRR, l’aggiornamento sulla situazione del S. Maria della Pietà a seguito dell’apertura del repartino per i disturbi del comportamento alimentare, la manifestazione conclusiva del Festival “Lo Spiraglio” sul cinema e la salute mentale. Alla fine, come sempre, varie ed eventuali.
Apparentemente tutto dovrebbe seguire il copione prestabilito: il Dott. Cavallari che sostituisce il Direttore del Dipartimento prova a spiegare la situazione poco chiara della presenza dei Centri Diurni privati nella tabella regionale, indicando come unica presenza nella ASL Roma 1 del CD Don Calabria. Cavallari chiarisce che tutti i CD del DSM hanno operatori regolari e contrattualizzati, mentre il Don Calabria, come CD accreditato e autorizzato viene finanziato non a budget ma con altri fondi e che questa è una particolarità perché nelle altre AASSLL i CD accreditati sono finanziati a budget. Non è che si capisca molto questa cosa, né si è capito con quali fondi viene finanziato il Don Calabria. Soprattutto non si comprende se Cavallari sa ma non dice oppure anche lui deve ancora comprendere da dove arrivano quei soldi. Quello che infine emerge è che la responsabilità di tutto questo girotondo sui CD è dovuta al ricorso che fece la comunità terapeutica La Reverie, la quale a suo tempo chiese l’autorizzazione per più posti letto, autorizzazione che fu rifiutata. La Reverie allora fece ricorso al TAR, lo vinse e di conseguenza la Regione fu costretta ad aumentare i posti letto per tutti. Ma è possibile esaminare una questione importante come la semiresidenzialità nel DSM, l’attribuzione dei fondi ai CD dopo tutto quello che è stato affrontato sui queste strutture negli incontri dello scorso autunno? Ma le persone del DSM che vengono a
relazionare in Consulta non si pongono il problema di validare quello che devono dire? Siccome noi non capiamo in tutto questo dove sia l’interesse per gli utenti chiediamo che la Consulta organizzi un incontro con tutti gli operatori dei CD della ASL Roma 1 per capire quali siano le reali condizioni delle strutture.
In proposito abbiamo chiesto di inserire come punto all’ordine del giorno la conoscenza diretta delle strutture del DSM, la verifica dei livelli di prestazione garantiti ed erogati e la condivisione delle strategie di intervento per il miglioramento della cura e dell’assistenza. Sebbene formalmente in ritardo, è una questione che abbiamo posto più volte da gennaio. Stavolta la presidente Gentili si è accorta di noi mostrandosi disponibile ad accogliere la discussione nel prossimo incontro, proponendo a sua volta un gruppo di lavoro che possa visionare le strutture del DSM. Naturalmente e immediatamente ci è stato fatto notare quanto ciò sia inutile perché la prerogativa di fare i blitz polizieschi la ha solo la presidenza della Consulta Regionale, ma non importa. Anzi, è lo scomodo segnale che qualcosa può cambiare rispetto al copione prefissato: qualcosa di imprevisto può accadere.
Si prosegue con il discorso sul fabbisogno di personale e il PNRR. Solo questo annoso problema meriterebbe che ci incatenassimo tutti all’entrata della Regione Lazio anche perché il personale dei DSM comincia ad essere una specie in via di estinzione e se c’è una cosa che non compare proprio nel PNRR quella è la salute mentale. Ma il Dott. Cavallari indica numeri sui nuovi entrati (o sarebbe meglio dire “stabilizzati”?), infermieri, psicologi, assistenti sociali. Numeri che speriamo tutti siano l’indice di un’inversione di tendenza. Poi rimane insoluta la domanda: si può curare un paziente psicotico o con una depressione maggiore garantendogli (se va benissimo) un incontro ogni due-tre settimane con il proprio psichiatra? Il Dott. Cavallari, quando viene posto il problema
dell’inesperienza dei neoassunti rispetto alla complessità dei trattamenti e delle situazioni da affrontare nei diversi servizi del DSM ha rassicurato tutti sostenendo che uno psichiatra specializzato ha alle spalle una formazione e dei tirocini sul campo che gli permettono di orientarsi adeguatamente. Ma forse il problema è un altro. In quale contesto lavora uno psichiatra? Il DSM della Roma1 è il più grande d’Europa, si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi di adulti, adolescenti e bambini, tra i quali i disturbi dell’alimentazione, le dipendenze da sostanze, le ludopatie, le neodipendenze dai social, deve garantire gli interventi del 118, la residenza ospedaliera per acuzie, extra ospedaliera con riabilitazione, semiresidenzialità con riabilitazione, presidio e ambulatorio territoriale, deve controllare che le strutture private accreditate operino correttamente, è coinvolto nell’integrazione lavorativa e sociale degli utenti con stage lavorativi e social housing, dovrebbe aprirsi alle innovazioni della psichiatria di comunità ed occuparsi anche di prevenzione nelle scuole. Tutto questo con una media (ottimistica) di 100 pazienti per psichiatra. Anche se il Direttore del Dipartimento e il Direttore Generale garantiscono un’organizzazione che fa invidia alla Ferrari a noi sembra di poter affermare che la crescita dimensionale non ha affatto intaccato il problema e che è tutto il DSM a dover essere ripensato. Domanda provocatoria: ma avere una struttura del DSM così ciclopica non ricorda un po’ un astratto ospedale psichiatrico?
A proposito, la vicenda del S. Maria della Pietà è molto seria. Non perché il repartino rappresenti l’innesco di chissà quale progetto di restaurazione, ma per l’espressione dell’autoritarismo della dirigenza della ASL e della complice inerzia della direzione del DSM. Da parecchi anni l’associazione Ex Lavanderia e a seguire il Comitato per la difesa del parco pubblico Santa Maria della Pietà denunciano l’inerzia delle istituzioni e propongono soluzioni con la partecipazione della cittadinanza. E da diversi anni sappiamo che le intenzioni del Dipartimento e della ASL sono altre. Il parco non è più un manicomio, i padiglioni andrebbero recuperati e gestiti nell’interesse della cittadinanza e della salute mentale, come previsto dalla legge. La Consulta dovrebbe a nostro parere, porsi in un doveroso e dialettico confronto con la dirigenza, convocare le associazioni del territorio coinvolte e concordare un piano di attività continuo e serrato.
Porre al centro degli interessi della cittadinanza la salute mentale è un obiettivo primario della Consulta. Anche dal punto di vista culturale. È questo l’obiettivo del festival “Lo Spiraglio”? Noi speriamo di sì, che non sia un fiore all’occhiello da esporre o uno strumento autoreferenziale degli organizzatori, ma un punto di partenza per far capire l’importanza della salute mentale a tutti. Noi non abbiamo partecipato e non possiamo esprimerci sui film e sull’organizzazione messa in atto. Ma abbiamo avuto la fortuna di visionare un film che avrebbe potuto partecipare al festival se non avesse completato la produzione in ritardo. Ed è un film che coinvolge direttamente il nostro DSM.
Si tratta del lungometraggio “Percepire l’invisibile” di Tino Franco, realizzato con il contributo sostanziale dei pazienti del Centro Diurno di Via Antonino di Giorgio presso Ponte Milvio. A parte invitare tutte le persone interessate a vederlo, ci sono due aspetti importanti che, volendo osservarli, si possono cogliere e sono di interesse per la Consulta. Primo, tutti gli operatori che compaiono nel film e che hanno contribuito alla realizzazione di un’opera basata su una sceneggiatura interamente scritta dagli utenti del CD sono operatori di cooperativa. A cui è stato
chiesto esplicitamente di comparire come tali e non come operatori della ASL Roma 1. Nessun operatore strutturato del DSM ci ha voluto mettere la faccia. Forse per timidezza? Invece, a quanto pare, la ASL ha creato non pochi problemi all’uscita del film, salvo poi autocelebrarsi nelle proiezioni esaltando i servizi pubblici che permettono questi risultati. Secondo, l’imperativo di rendere percepibile l’invisibile. Cari membri della Consulta, le persone che pensano diversamente esistono, sono presenti, attive e vogliono collaborare, non serve a nulla provare a zittirle alzando la voce o impedendogli di parlare, noi ci opporremo sempre al tentativo di farle sparire.